GESTIONE DELL’ACQUA IN PROVINCIA DI PADOVA
Da pescatore e da Guardia Ittica Volontaria, passeggiare lungo i corsi d’acqua della provincia padovana è un piacere che spesso assume i contorni del dovere. Lungo torrenti, canali e fossati è nata la mia passione, ne sono circondato e tornarci “da grande” mi restituisce la spensieratezza e l’allegria di qualche anno fa.
I miei canali, i miei fossati, li ho visti cambiare molto, e raramente in meglio. Piccoli corsi d’acqua ricchi di vita fino a 10 anni fa ora sono irriconoscibili: non un guizzo, non un’ombra nera che scatta spaventata dalla nostra presenza sulla riva. Generazioni di pescatori si sono formate su queste acque, hanno iniziato ad amare la pesca nei corsi d’acqua che potevano raggiungere a piedi o al massimo in bicicletta. Catturando scardole, cavedani, tinche, carpe, pesci gatto, poi col passare degli anni qualche luccio a spinning, qualche anguilla nelle prime pescate notturne. Di tutto questo rimane poco o nulla, falcidiato da inquinamento, antropizzazione, scarsa cura. Colpa nostra, dell’uomo, come sempre.
Ma il cambiamento più marcato, nella zona in cui vivo, riguarda la gestione dei flussi. Ecco due foto scattate qualche giorno fa, dietro casa mia, in un canale che conosco come le mie tasche.
Notate nulla di strano? Le foto sono state scattate a pochi metri dalla chiusa di un vecchio mulino, che da qualche anno a questa parte risulta completamente aperta nel 90% dei casi. Il risultato è un livello d’acqua inferiore ai 10 centimetri, con il totale azzeramento di qualsiasi forma di vita acquatica. In questo stesso canale io ci pescavo a galleggiante, su almeno 150 centimetri d’acqua. Colpa della siccità, dicono in molti, l’acqua serve per irrigare.
La realtà è leggermente diversa. Fino a qualche anno fa, la gestione di questa chiusa, come di molte delle centinaia di saracinesche presenti nella sola Provincia di Padova, era affidata agli abitanti del mulino stesso. Ai quali spettava l’onere di aprirla in caso di piena, mentre per i restanti periodi rimaneva quasi totalmente chiusa garantendo un livello costante a monte del manufatto. Mettete insieme la rete dei mulini padovani e delle relative saracinesche ed avrete un sistema idrico complesso, ma capace di mantenere un proprio equilibrio se gestito nella maniera corretta.
La gestione attuale, con saracinesche che vengono operate in remoto o manualmente ma solo da tecnici dei consorzi competenti, non può per forza di cose avere la stessa puntualità e la stessa accortezza. A ciò si aggiunga la tendenza, specialmente d’estate, a mantenere un deflusso veloce nei corsi d’acqua secondari per approvvigionare quelli principali. Fiumi come Brenta e Bacchiglione, impoveriti a loro volta dalle captazioni in pianura e dal prelievo idroelettrico nel loro tratto montano. Un circolo vizioso che porta come conseguenza al totale annullamento di ambienti vitali, seppur secondari, estremamente importanti per il delicato equilibrio delle acque di pianura.
La scarsità d’acqua nel nostro territorio, dovuta a sempre più lunghi periodi siccitosi proprio nel momento di maggior richiesta a scopo irriguo, è un problema vero e serio. Ma non credo che la strategia adottata per affrontarlo sia quella corretta. Anche perchè diminuendo la profondità di un corso d’acqua ne aumenta l’evaporazione, il che si traduce in altra acqua persa per strada senza che possa aver giovato all’ambiente o alle coltivazioni.
Il mio pensiero può essere di parte, lo ammetto. Ma credo che un ragionamento e una analisi competente siano quantomeno auspicabili. Altrimenti il rischio è quello di ritrovarsi con un paio di corsi d’acqua in condizioni dignitose, a spese di tutto il sistema idrico di risorgiva da sempre protagonista della storia delle nostre campagne.