DESE: UNA STORIA A LIETO FINE
Il Dese è il classico fiume della pianura veneta. Nasce da un’are di risorgive, così come il Sile, il Marzenego, il Draganziolo e lo Zero, nella zona tra la Provincia di Padova e quella di Treviso. Nel suo tratto alto presenta acque correnti piuttosto limpide, il cui scorrimento viene intervallato da una serie di sbarramenti (circa 15) corrispondenti ad altrettanti antichi mulini. Attraversando distese di campi coltivati, la forza delle sue acque ha alimentato per decenni le macine per cereali, sfamando intere generazioni di Veneti.
Nel suo basso corso, prima di sfociare nella Laguna Veneta, il suo alveo si amplia accogliendo le acque di vari canali di bonifica snodandosi lungo larghe anse. L’equilibrio del fiume, in questa zona, segue quella della laguna e risente del flusso di marea, presentando acque salmastre ed escursioni di livello anche importanti.
Tutta l’asta del Dese ha rivestito una importanza storica per il territorio che attraversa. Non solo, come già detto, per l’azionamento dei mulini (ormai in disuso) ma anche come fonte di acque irrigue e, marginalmente, per la pesca di sussistenza.
A cavallo degli anni ’90, in concomitanza con lo sviluppo del carpfishing moderno in Italia, il Dese si è subito contraddistinto come terreno ideale per la tecnica, attirando sulle sue sponde (specie nella zona compresa fra l’omonimo abitato di Dese e la confluenza con lo Zero) centinaia di carpisti, non solo veneti. L’abbondanza e la qualità degli esemplari presenti, unite a caratteristiche morfologiche favorevoli, lo resero una “Mecca” del carpfishing italiano alla pari di Ostellato, Canal Bianco o Sile giusto per citarne alcuni.
Di pari passo sono però aumentati anche i problemi. La forte pressione ha portato in Dese il prelievo indiscriminato, sia da parte dei pescatori di professione della laguna (in caso di mare impraticabile era facile “arrotondare” risalendo il fiume) sia da parte di carpisti di dubbia moralità. I pesci del Dese hanno rifornito per anni non solo le bancarelle del mercato ma anche svariati laghetti privati, sbocciati come funghi sull’onda del successo della nuova tecnica. Tanto che, a cavallo degli anni 2000, era un vanto per molti gestori avere nel loro laghetto “carpe de canae, roba sana del Dese”. Non si erano ancora accesi i riflettori sul fly carp, sembrava normale attingere alle acque pubbliche per riempire le tasche private. E, mi duole dirlo, fu proprio una numerosa fetta di carpisti ad alimentare questo circolo vizioso: un colposo silenzio-assenso in cambio della comodità del laghetto privato contro le inevitabili difficoltà del canale naturale.
Una storia che, cambiando pochi dettagli, può essere facilmente trasportata di qualche chilometro in altri canali e fiumi sottoposti allo stesso trattamento.
Se in altri casi il disastro è stato totale e irrecuperabile, la parte “sana” dei pescatori veneti ha invece rialzato la testa. E ha riconquistato il fiume, con caparbietà e sacrifici. Decine di Guardie Volontarie hanno pattugliato le sponde fermando la razzia, mentre si lavorava nelle opportune sedi per ottenere regolamenti più stringenti e maggiore tutela. Il passo successivo sono state le semine, distribuite nel corso degli anni, per aiutare il ripopolamento naturale e far risorgere le acque del Dese. Persone che hanno un nome: i ragazzi della sede CFI 144 Dreamcarp Revolution. Pescatori veri, con la passione nel sangue, non i soliti leoni da tastiera con la bocca grande ma le mani sempre in tasca. Se il Dese sta tornando quello di una volta lo dobbiamo a loro, ci vorrà tempo e serviranno altri anni di sacrifici ma la strada è ormai segnata.
Noi della Sede 244 il fiume lo abbiamo nel nome, Piombino Dese è la nostra casa e quelle rive le abbiamo percorse a piedi, in bici, in motorino e ora in auto. Sempre con la canna da pesca in mano. Almeno una volta l’anno ci ritroviamo a Ponte Alto e da lì ci allarghiamo a destra e a sinistra, verso valle e verso monte, col nostro carico di speranze e di sogni che, con immancabile precisione, si avverano in poche ore di pesca. E’ il nostro modo di dire grazie a chi tutto questo lo rende possibile ed è anche una testimonianza. La dimostrazione che non tutto è perduto, anche in libera si possono fare pescate da sogno. Bisogna impegnarsi, rimboccarsi le maniche, riconquistare le nostre acque e difenderle con le unghie e con i denti. Rompere le palle a chi di dovere perchè cambino regole e gestione, non stancarsi delle porte chiuse e degli assordanti silenzi della burocrazia. Ma, soprattutto, farlo sempre senza tornaconto personale, senza mirare ad obiettivi circoscritti ma allargando la partecipazione a tutti i pescatori di sani principi.
Le cose nate per pochi eletti seguono gli umori e i destini dei piccoli gruppi, mentre le cose fatte per tutti rimangono perchè ci sarà sempre qualcuno pronto a dare il cambio. Il ciclista che va in fuga da solo prima o poi viene ripreso, mentre dieci ciclisti affiatati hanno molte più probabilità di arrivare al traguardo.
Dimenticatevi le tesserine, i social, le battaglie da tastiera. E iniziate a lavorare seriamente perchè ci siano altre 10, 100, 1000 storie a lieto fine. Come quella del Fiume Dese.