CARPA E AMUR? ALLOCTONE MA…
Ogni pescatore sportivo e appassionato in materia ittica può avere accesso, grazie soprattutto ad un mezzo potente chiamato Web, ad una quantità spaventosa di informazioni. Più difficile è invece selezionare tali informazioni, analizzandole al netto sia delle ovvie (e comprensibili) preferenze personali sia delle mistificazioni inesatte o fuorvianti. Cerchiamo quindi di fare chiarezza riguardo a due specie ittiche alloctone di notevole interesse per noi praticanti del carpfishing: Carpa e Amur o Carpa Erbivora. Lasciando al momento da parte il Siluro, argomento complesso che merita di essere analizzato a parte.
La Carpa (Cyprinus carpio) è pesce d’acqua dolce appartenente alla famiglia dei Cyprinidae, la stessa per capirci della Tinca, del Cavedano e del Barbo. Originaria delle regioni dell’Europa Orientale fino all’Asia Minore ed alla Cina, è stato uno dei primi pesci a venire introdotto in zone diverse rispetto all’areale originario. Questo fondamentalmente per due ragioni: la facilità di allevamento a scopo alimentare e la spiccata adattabilità a condizioni acquatiche diverse. In Italia la sua introduzione si fa comunemente risalire agli antichi romani, sebbene ricerche più dettagliate spostino la data nei dintorni del 1500 (qui la fonte). La sua diffusione è estesa a tutta la penisola, nella quale riveste localmente interesse alimentare mentre ben più solido è il suo apprezzamento come preda di pescatori sportivi.
Alla luce di questa descrizione, la Carpa va definita senza ombra di dubbio alloctona, ma non lasciatevi spaventare da questa affermazione. Troppo spesso infatti questo termine, che indica qualsiasi organismo inserito in un dato ambiente ad opera dell’uomo, viene associato alla ben più sgradevole definizione di “specie invasiva”. Ma le due cose non vanno assolutamente confuse: la terminologia corretta prevede la differenziazione tra specie autoctona (originatasi e sviluppatasi in un dato luogo), specie alloctona (vedi sopra) e specie invasiva. Una specie può essere contemporaneamente alloctona ed invasiva, come pure essere stata introdotta dall’uomo ma non rappresentare un pericolo per l’ambiente acquatico. Le due cose sono correlate ma si riferiscono a situazioni assolutamente diverse, e sono legate al singolo caso: una specie alloctona può risultare invasiva in un dato contesto, oppure integrarsi senza danni in un altro.
Detto questo, definire la carpa come alloctona è più un fattore linguistico che pratico. La specie è unanimemente considerata come “naturalizzata”, quindi integrata con successo nel sistema ittico italiano. Viene comunemente accertata la sua convivenza con le specie autoctone delle quali va ad occupare la stessa nicchia. Studi effettuati tra il 2004 ed il 2009 dall’Università di Ferrara sulla fauna ittica delle acque interne provinciali hanno evidenziato come la quantità di alimento naturale disponibile soddisfi ampiamente le esigenze della popolazione di carpe presenti, una dimostrazione di come la contrazione di specie ciprinicole autoctone non sia da imputare (in prima analisi) alla presenza dell’alloctono concorrente.
A testimonianza dell’accettazione della Carpa come specie alloctona naturalizzata (o para-autoctona) il riconoscimento da parte di molte regioni di limitazioni alla pesca sia riferite alla misura che al periodo. Questo grazie anche all’incessante lavoro di associazioni come Carp Fishing Italia, si veda ad esempio il Progetto Tutela Carpa. Qualsiasi altra interpretazione del concetto di alloctonia va letta come opportunistica o, ben più grave, in totale malafede.
Questo al netto di considerazioni di tipo economico, che riguardano l’indotto creato dalla pesca sportiva e che dovrebbero contribuire ad enfatizzare l’importanza di tutelare la specie con misure apposite (taglia minima, taglia massima, contrasto al bracconaggio).
Ben diverso è il discorso riferito all’Amur (Ctenopharyngodon idella). Originaria dei grandi fiumi dell’Asia Orientale la “carpa erbivora” viene introdotta in Italia nel 1975 in alcuni canali di bonifica tra Modena, Bologna e Ferrara, nella pianura friulana, in alcuni laghi altoatesini, nei fiumi Arno ed Era e quasi sicuramente in altri specchi d’acqua (qui le info).
Perchè? Prometteva di far risparmiare un bel gruzzolo ai consorzi di bonifica, per la sua alimentazione a base di piante acquatiche. Un “rasaerba naturale” che, per di più, costava relativamente poco e, a quanto si sapeva, non sarebbe stato capace di riprodursi in natura. Le sue uova galleggianti infatti necessiterebbero di corsi d’acqua molto lunghi per schiudersi prima dell’arrivo in mare, condizioni non presenti in Italia. Qui nasce il primo problema: a quanto pare, la lenta corrente dei canali di bonifica ed alcune condizioni particolari di regime (che simuli le piene naturali) possono portare alla frega ed alla successiva schiusa. Ne sono testimonianza i ritrovamenti di esemplari di piccola taglia (leggete di nuovo qui).
L’impatto dell’alloctono Amur è però ben diverso rispetto alla Carpa. Il contenimento della vegetazione acquatica, con presenza di popolazioni numerose e di buona taglia, crea una serie di danni che vanno oltre alla semplice scomparsa dei ripari e zone di frega di pesci autoctoni quali il Persico Reale o il Luccio. Lo scarso apporto nutritivo dei vegetali di cui l’Amur si nutre porta il pesce a mangiarne in grandi quantità, rilasciando quindi nell’acqua grandi quantità di azoto e fosforo dopo la digestione oltre a lasciare in sospensione la fibra vegetale sminuzzata. Ne consegue una alterazione significativa dell’habitat naturale preesistente: canali ripuliti dalla vegetazione ma irrimediabilmente compromessi.
Questa la realtà dei fatti, non me ne vogliano gli amanti delle “frecce d’argento”. Io stesso ne apprezzo le fughe poderose nel sottoriva ma non posso non condividere le preoccupazioni sollevate da esperti ben più preparati di me.
Una cosa è comunque certa. Delle eventuali operazioni di contenimento delle specie alloctone, della loro completa eradicazione o della loro analisi non si devono occupare i pescatori, sportivi ma soprattutto professionisti. Sono troppe le variabili in gioco e sono troppi gli interessi che potrebbero inficiare la riuscita degli interventi. Ci vogliono studi seri, enti certificati e super-partes che siano in grado di dare una risposta nel solo interesse dell’ambiente acquatico, senza farsi corrompere da ideologie o da interessi economici.
Fonti: